Racconta una tradizione orientale che un tempo vi era l’uso di pagare il medico per ogni giorno di salute e di sospendere il pagamento in caso di malattia. In questa tradizione si può riconoscere il concetto di prevenzione; lo scopo della medicina infatti non dovrebbe essere tanto quello di curare il malato, o di “lottare contro la morte”, quanto quello di conservare la salute e il benessere di chi malato non è. E, proprio in questa dimensione, essa smette di essere monopolio dei tecnici e struttura di potere e di controllo e finalmente ogni persona può non solo prendere in mano la propria salute, ma anche educare i figli reali, e per estensione le nuove generazioni, alla cura quotidiana della propria salute.
La medicina, quale oggi la conosciamo, è stata costruita a misura dei medici e non dei malati, men che meno dei sani. Questa visione “medicocentrica” della salute espropria gli uomini della capacità e del diritto di gestirla in prima persona e pone in secondo piano altre risorse tecniche non mediche, altrettanto importanti, della conoscenza medica tradizionale, per permettere un miglioramento non solo della quantità, ma anche della qualità della vita e il raggiungimento dell’obiettivo della longevità in salute.
G. Jervis ha parlato, a questo proposito, di “colonizzazione ideologica della medicina” per cui al medico si riconosce tutta la conoscenza e tutto il potere, mentre al malato resta un ruolo passivo e subalterno, di paziente, che deve recuperare la salute. Questa non è vista come un diritto di ogni uomo sano a mantenersi tale, ma come qualcosa che varie circostanze infauste possono togliere e che solo l’intervento medico può talvolta permettere di recuperare. Questa concezione è esattamente l’opposto della leggenda orientale di cui si accennato ed è frutto di una visione del mondo del tutto diversa. Da una parte il medico agisce in anticipo sulle cause della malattia, contribuendo a mantenere l’individuo in buona salute, dall’altra come colui che arriva in ritardo, a malattia conclamata e rappezza quel che può, spesso lavorando più sui sintomi che sulle cause. Nel primo caso si tratta di un lavoro quotidiano, che tiene conto in ogni momento della realtà in cui l’uomo opera e agisce, nel secondo caso di una riparazione di emergenza.
Naturalmente esiste un bombardamento di notizie pseudo-preventive, ampliamente socializzate dai mezzi di informazione di massa, che vanno dai consigli sul modo di vivere, all’invito al check-up annuale. Purtroppo queste informazioni hanno il difetto di variare di giorno in giorno, di non essere verificabili, né controllabili, né applicabili dalla maggioranza dei destinatari. Anche i check-up non si può dire siano vera prevenzione, piuttosto, nella migliore delle ipotesi, una diagnosi precoce.
La gestione della salute resta comunque per intero in mano ai tecnici, mentre all’utente resta solo la possibilità di fidarsi. Ed è proprio su questo concetto di salute che battono e ribattono i medici e soprattutto le loro corporazioni, spacciandolo per indispensabile in un rapporto medico-paziente.
Da qui la condanna di ogni tipo di gestione in prima persona della propria salute, anche nella sua forma più comune e meno “eversiva” dell’aver cura di sé e del curarsi da soli, in quanto questo, in un sistema medicalizzato come il nostro, di fatto significa ritenere che ogni malessere possa e debba essere eliminato con una medicina appropriata e le cause di esso ignorate e nascoste. E poiché il rapporto medico-paziente è forzatamente un rapporto non paritario, basato sulla fiducia, avviene che la situazione non cambi allorché il malato si rivolga a medicine alternative. Anche in questi casi il rapporto rimane di delega nei confronti del terapeuta, sia esso erborista, omeopata, iridologo… Visto che non si punta alla conservazione della salute, ma alla guarigione del malessere, la gestione della salute resta in altre mani, cambia solo il tipo di tecnico.
Come abbiamo detto la medicina moderna si preoccupa principalmente di curare i sintomi. Ogni anno compaiono nuove malattie, nuovi virus o microbi. E, quando nel corso di una malattia si cattura un virus o un microbo, quasi come se fosse un ladro, immediatamente lo si ritiene responsabile della malattia e si cerca di eliminarlo con tecniche chirurgiche o farmacologiche.
L’atteggiamento orientale è completamente diverso. Non pone barriere tra sé e i virus o i batteri, in quanto essi fanno parte della nostra vita e non possono nuocere ad una persona in buona salute. Nulla viene distrutto per timore, poiché l’eliminazione dei sintomi non solo non aiuta, ma anzi indebolisce l’organismo. L’atteggiamento “anti-virus” della scienza moderna si è sviluppato per l’incapacità dell’uomo moderno di mantenersi forte nel corpo e nella mente.
A differenza della medicina moderna, la medicina tradizionale orientale non concepisce il corpo come composto di parti separate, ma considera ogni organo una parte del tutto e la malattia come un deterioramento di tutto il sistema corporeo, il riflesso di un cattivo funzionamento della totalità del sistema.
Appare chiaro che il punto principale non è la cura della malattia in atto, l’intervento di emergenza per eliminare uno stato di malessere, ma in primo luogo la conservazione e la conquista di uno stato di salute del corpo e della mente e di una buona relazione con l’ambiente. Una concezione della salute che sembra simile a quella definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: uno stato di benessere fisico, mentale e sociale, in quanto il corpo è sempre visto integrato nel mondo esterno, nella natura e nell’ambiente. Appare di conseguenza impossibile capire e curare la malattia, se non si tiene conto del rapporto individuo-ambiente, uomo-natura.
Solo in questo contesto acquista significato e diviene possibile curarsi da soli, poiché l’oggetto della cura non è più l’organo malato, ma l’individuo sano in una precisa condizione storica e sociale.
Un contesto in cui non si tratta di eliminare o di sottovalutare l’apporto e la competenza del tecnico: non è il sapere scientifico che va eliminato, ma il potere che da esso nasce.
Curarsi da soli implica una diversa concezione del mondo, il considerare se stessi organismi completi, in armonia con il proprio corpo, con la propria mente e con il proprio ambiente. Vuol dire anche quindi modificare l’ambiente e di conseguenza se stessi, divenire soggetti e controllori, invece che oggetti e controllati. Implica riscoprire che il momento principale della medicina è la prevenzione, più che la cura e il recupero.
Ma concretamente quale può essere un’azione efficace e alla nostra portata quotidiana, per assumerci la responsabilità della nostra salute? In primo luogo curare l’alimentazione, mangiamo tre volte al giorno e altrettante volte mettiamo cause per migliorare o peggiorare la nostra condizione di salute, verso l’equilibrio o il disequilibrio, ben sapendo che l’equilibrio è una condizione dinamica, che si ricerca ad ogni passo. Possiamo non solo occuparci della nostra salute, ma anche di quella dei nostri familiari, in particolare dei nostri figli “reali o per estensione” (giovani membri della comunità), dando l’esempio, ma anche educando il loro gusto e la loro capacità di ascoltare gli effetti sul loro corpo degli alimenti che consumano: rafforzanti, indebolenti, contraenti, rilassanti, appesantenti, alleggerenti, riscaldanti o raffreddanti… Possiamo non solo dare l’esempio con le scelte e le abitudini alimentari e di vita che assumiamo, rispettose nei nostri confronti, degli animali, dell’ambiente, ma assumerci la responsabilità della loro salute attuale e futura, anche aiutandoli a diventare capaci di ascoltare e riconoscere cosa fa loro bene e cosa male. Educarli a consumare cibi naturali e integri, piuttosto che trasformati e raffinati. La nostra responsabilità verso le generazioni future parte da lontano. Pensate che la salute del bambino e i suoi gusti vengono influenzati già da come si alimenta la mamma nel corso della gravidanza e durante l’allattamento (se il bambino non viene allattato e si usa il latte vaccino, nel suo corpo si sviluppa muco, che lo predispone a malattie respiratorie: raffreddori, bronchiti, tosse, asma; oltre che dell’apparato digerente: problemi di stomaco e di intestino, reflusso gastroesofageo, coliti e infiammazioni). Il latte, seppur ricco di calcio, acidifica il corpo in cui, per ripristinare l’equilibrio acido-basico, si attiva un meccanismo tampone, che fa rilasciare calcio dalle ossa, dai denti e dalle unghie, indebolendo l’apparato scheletrico.
Il ricorso a cibi industriali per risparmiare tempo, per soddisfare il desiderio del bambino di essere uguale agli altri, per condizionamento, dato della pubblicità, a consumare snack pieni di sale di cattiva qualità, biscotti, succhi, bevande e cibi zuccherati, addizionati di ogni sorta di vitamina, come se ci fosse il rischio di carenze, in una società in cui il rischio sono piuttosto gli eccessi, crea vere e proprie dipendenze difficili da trasformare.
E…allora, cosa aspettiamo a prendere in mano la nostra salute e quella dei nostri figli e delle nostre famiglie a fare un’azione di vera prevenzione nei confronti delle malattie che affliggono il nostro secolo: diabete, ipertensione, malattie degenerative, tumori, ma anche garantirci e garantire una migliore qualità di vita? Riprendiamoci il nostro potere, ritorniamo ad essere soggetti e usciamo dal ruolo di oggetti passivi di cura.